lentepubblica


IVA su vendita di auto usate: è sempre imponibile?

lentepubblica.it • 7 Luglio 2016

rinnovo parco autoIn caso di omessa registrazione, è irrilevante il fatto che non c’è evasione in quanto, stante l’acclarata assenza di profitti nei periodi accertati, nessuna imposta doveva essere versata. In materia di Iva, gli articoli da 36 a 40 del Dl n. 41/1995 hanno recepito, con effetto dal 1° aprile 1995, la settima direttiva Cee n. 94/5 del 14 febbraio 1994, che – per prevenire fenomeni di doppia imposizione e di distorsione della concorrenza tra Stati membri – ha inserito, nell’ambito della sesta direttiva Iva, l’articolo 26-bis, che prevede un particolare regime Iva per le cessioni di beni mobili usati (utilizzabili sia nello stato originario che in seguito a interventi di riparazione) nonché per le cessioni di oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione. Tale particolare regime, in sostanza, stabilisce che, per i beni usati, l’imposta sul valore aggiunto si applica sulla base imponibile determinata dalla differenza (”margine”) tra il prezzo di rivendita e il prezzo di acquisto del bene usato stesso, aumentato delle spese sostenute per la messa a punto del bene.

 

Sul piano soggettivo, il sistema speciale del margine interessa sia coloro che abitualmente fanno commercio di beni usati sia i soggetti passivi Iva (imprese, artisti, professionisti) che si trovano a vendere, anche occasionalmente, beni usati, salvo possibilità di optare per l’applicazione dell’imposta con i criteri ordinari. Sul piano oggettivo, rientrano in tale sistema speciale i suddetti beni usati nei casi in cui i medesimi siano stati acquistati presso privati, nel territorio dello Stato o in quello di altro Stato membro della Ue.

 

Come già in passato osservato dalle sezioni unite della Cassazione (v. sentenza n. 30055/2008), il regime Iva del “margine”, naturalmente applicabile alle cessioni di autoveicoli usati (più specificamente per tali beni, del “margine globale”), costituisce una deroga all’ordinario regime impositivo, che trova la propria ratio nella necessità di escludere la doppia imposizione che altrimenti si verificherebbe a causa dell’indetraibilità del tributo assolto dal cedente al momento dell’acquisto dell’auto (un bene pervenuto al consumo finale, infatti, rimane definitivamente inciso dall’imposta, in quanto non detraibile da parte dell’acquirente; pertanto, se su tale bene, successivamente rivenduto, venisse nuovamente applicata l’Iva sul relativo prezzo di vendita, lo stesso valore aggiunto verrebbe, totalmente o in parte, tassato due volte). Di conseguenza, presupposto essenziale per l’applicazione di tale regime è che il cedente abbia assolto l’imposta a titolo definitivo al momento del suo acquisto del bene, il che consente di ritenere rilevante ai fini Iva, nei successivi passaggi di proprietà, solamente l’effettivo guadagno conseguito (e cioè, appunto, il “margine”).

 

In concreto, il regime speciale del margine si applica attraverso una triplice modalità, ossia, in alternativa, commisurando l’imposta dovuta sulla rivendita:

 

 

  • alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto, aumentato delle spese (eventuali) di riparazione e di quelle accessorie (regime ordinario o analitico)
  • a determinate percentuali forfetarie (regime forfetario o percentuale). Si tratta di cessioni per le quali, risultando particolarmente difficoltoso calcolare il margine con il metodo ordinario o analitico, l’ammontare del margine viene calcolato in misura percentuale rispetto al prezzo di vendita
  • al margine globale, costituito dalla differenza tra l’ammontare complessivo delle cessioni e quello degli acquisti, aumentato delle (eventuali) spese di riparazione e accessorie, effettuati in ciascun periodo temporale, mensile o trimestrale, di riferimento (regime globale).

 

 

Ai sensi dell’articolo 36, sesto comma, del Dl n. 41/1995, i rivenditori di autoveicoli usati devono applicare tale ultimo sistema di calcolo qualora acquistino il veicolo da un soggetto privato o a esso assimilato. Tale regime consente appunto ai rivenditori di pagare l’Iva solamente sull’eventuale margine “positivo” complessivo del periodo: una volta determinato tale margine, si procede allo scorporo dell’Iva in esso contenuta. Nei casi in cui invece in un dato periodo (come detto, mensile o trimestrale) venga a determinarsi un margine “negativo” (costi di acquisto dei beni superiori ai prezzi di realizzo sulle rivendite degli stessi beni), ciò genera un credito di margine (non d’imposta) che viene portato in diminuzione del margine globale (se “positivo”) del periodo successivo (v. anche, in tal senso, la circolare del ministero delle Finanze n. 177/1995, illustrativa dell’intero regime in esame).

 

In merito poi ai relativi adempimenti contabili, ai sensi dell’articolo 38 del Dl n. 41/1995, i soggetti che adottano il regime globale del margine devono istituire due appositi registri (uno per annotare le cessioni dei beni soggette allo speciale regime, l’altro per annotare i relativi acquisti “a monte” dei medesimi beni), nei quali occorre indicare, distintamente: la data delle operazioni; la natura, quantità e qualità dei beni ceduti e/o acquistati; i corrispettivi lordi (nel registro delle cessioni) e i prezzi di acquisto (nel registro degli acquisti), distinti per aliquote (v. la citata circolare ministeriale n. 177/1995).

 

In relazione a tali disposizioni, con la sentenza n. 3850/2016, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla legittimità, o meno, di un avviso di accertamento, emesso dall’Amministrazione finanziaria nei confronti di una società nazionale rivenditrice di autoveicoli usati, con cui quest’ultima veniva sanzionata per l’omessa registrazione di operazioni imponibili; più in particolare, detta società – in relazione alle rivendite di autoveicoli usati effettuate negli anni 1998-2001 – aveva omesso di registrare tali operazioni sul proprio registro Iva delle vendite, in quanto, nelle cennate annualità, non aveva realizzato alcun margine globale di utile (margine “negativo”).

 

Secondo l’Amministrazione finanziaria, peraltro – a differenza di quanto ritenuto nel precedente grado di giudizio dalla Ctr territorialmente competente, per la quale detta violazione di omessa registrazione, stante appunto l’assenza di un margine “positivo” di incassi sulle rivendite dei veicoli, avrebbe comunque riguardato operazioni da considerare non imponibili al tributo, in quanto tali punibili con la sanzione amministrativa compresa tra il 5 e il 10% dei corrispettivi non documentati o non registrati, ai sensi dell’articolo 6, secondo comma, del Dlgs n. 471/1997, contenente la riforma delle sanzioni tributarie non penali, vigente ratione temporis – la sanzione nella specie applicabile sarebbe invece dovuta essere in ogni caso quella prevista dal primo comma dello stesso articolo 6, riguardante l’omessa registrazione di operazioni imponibili al tributo (nel testo vigente ratione temporis, nella misura compresa tra il 100 e il 200% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel periodo di riferimento; sul punto, si fa presente che, attualmente, a seguito dell’entrata in vigore del Dlgs n. 158/2015, la sanzione amministrativa prevista per fattispecie analoghe a quella in esame è stata mitigata rispetto al passato, risultando ora compresa tra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato). In sostanza, ad avviso del Fisco, nella specie, “…l’assenza di realizzazione del margine di utile globale, e di evasione d’imposta, non comportava per ciò stesso il venire meno della natura imponibile delle operazioni…”.

 

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto legittima la contestazione mossa dall’Amministrazione finanziaria, confermando la natura “imponibile” delle operazioni dedotte in controversia, in quanto, poiché “…il regime del margine..trova..applicazione ad operazioni che ricadono nel presupposto d’imposta della disciplina dell’IVA (cessioni di beni, a titolo oneroso, da chiunque effettuate nell’esercizio dell’attività economica: artt.1 e 2 co1 Dpr n.633/72), trattandosi di regime sostitutivo a quello ordinario…”, da ciò deve logicamente desumersi “…la natura <imponibile> di tali operazioni, alla stregua del presupposto impositivo dell’IVA di cui…” ai sopra citati articoli del Dpr n. 633 “…che non risulta affatto derogato, ma confermato dalla disciplina speciale del margine d’utile…”.

 

I giudici di legittimità, infine, hanno affermato altresì che a tale conclusione non osta, in senso contrario, la circostanza che, nella fattispecie, non si sia in concreto verificata alcuna evasione d’imposta, dato che “…la disciplina sanzionatoria degli illeciti tributari individuati dall’art. 6 commi 1 e 2 Dlgs n.471/1997 prescinde del tutto da tale elemento fattuale ai fini della qualificazione delle operazioni come imponibili o non imponibili, venendo in questione esclusivamente ai fini della rilevanza illecita della condotta e della commisurazione della sanzione…”.

 

Sul punto, è peraltro da rilevare come, nel particolare caso di specie, la sanzione in oggetto – ancorché in via generale parametrata all’ammontare delle operazioni (imponibili) non registrate nel periodo di riferimento – viene a essere applicata, di fatto, a causa della sola mancata registrazione delle operazioni, senza quindi attribuire alcun rilievo al fatto che, appunto, non si era verificata alcuna evasione d’imposta in quanto nessuna imposta risultava dovuta, stante l’acclarata assenza di margini di utile nei periodi temporali in contestazione (come sopra detto, infatti, si erano verificati margini “negativi” nelle annualità oggetto di accertamento).

Fonte: Fisco Oggi, Rivista Telematica dell'Agenzia delle Entrate
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments